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Martedì, 18 Luglio 2017 13:12

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L'evasione delle spigole dagli impianti di acquacoltura pone dubbi sui rischi sia sanitari che ambientali ma fa anche risaltare un problema centrale della pesca ricreativa.
Giugno 2017 – la voce giunge per l’ennesima volta a circolare fin lontano dalla costa lungo la quale, per alcune settimane, si manifesta una anomala abbondanza di spigole, palesemente provenienti da un impianto di acquacoltura.Un evento ricorrente e diffuso che solleva domande e riflessioni su salute, ambiente, biodiversità, vigilanza, rispetto dei regolamenti, fino al nodo della nostra cultura della pesca.

Accade  in vari luoghi e, tra questi, uno dove è diventato ricorrente, è la Maremma Toscana. Si dice, talvolta, che l’evento sia dovuto a cause naturali, talaltra a dolo, nel qual caso i  motivi dovrebbero essere  gravi vista la perdita economica rilevante che ne consegue.

Anni fa, al tempo dell'allarme mucca pazza, la fuga di spigole dagli allevamenti fece notizia perché si vociferava di un collegamento tra l'alimentazione zootecnica e la malattia. Sia o meno una leggenda metropolitana, si sentì dire che per evitare  sanzioni qualcuno si fosse disfatto di un determinato quantitativo di spigole allevate con la scusa che si fosse trattato di un incidente. La stessa storia si ripete,  con preoccupante ricorrenza, in tratti di costa vicini agli allevamenti, siano essi in vasca   (allevamenti  a terra) o in gabbia  (allevamenti in mare), dai quali evadono periodicamente quantitativi consistenti di spigole. Per la vicenda cui abbiamo fatto cenno all’inizio, sono girate voci “complottiste” sul possibile eccesso di medicinali utilizzati per mantenere in cattività una quantità  di pesci impressionante e sull’incidente simulato per evitare controlli.

Come sappiamo, la richiesta  di mercato di spigole da porzione non potrebbe in alcun modo essere soddisfatta dal pescato selvatico,  l'allevamento diventa quindi fondamentale per assorbire la richiesta di mercato  dimostrando come questa  sia nettamente superiore  alla disponibilità di risorse selvatiche.  Contare sull’acquacoltura per limitare la pesca dei pesci selvatici è,  in molti casi, una forte contraddizione dal momento che per alimentare i pesci di allevamento vengono pescati altri pesci selvatici e si documenta come la produzione di un kg di pesce allevato possa richiedere la pesca di 3 kg di pesci selvatici per alimentarli.
In aggiunta a questo non si può trascurare l’impatto degli impianti di acquacoltura sulle aree interessate e sono numerosi gli allarmi per gli effetti ambientali negativi.


Nel caso di dispersione in natura di pesci provenienti dagli allevamenti due sono i principali motivi di ulteriore preoccupazione. Nel breve termine si può temere la non salubrità del loro consumo che può in qualche modo danneggiare chi li mangia. In relazione allo stato delle risorse naturali si può fare riferimento alla indagine scientifica Aquatrace per informarsi sulla importanza dei rischi genetici a carico degli stock selvatici causati dai pesci di allevamento evasi.

Che in quella portata ad esempio per la Maremma, come verosimilmente in molte altre occasioni, la notizia sia circolata per settimane, fa pensare al fatto che sarebbe dovuta giungere alle orecchie delle agenzie competenti in materia di salute pubblica e di tutela ambientale e che questa è la notizia che, se non ce la siamo persa, è mancata. In effetti sono eventi che non sembrano essere considerati e studiati localmente, forse per mancanza di segnalazioni specifiche, se non per evitare di innescare un complesso di problemi per gli indirizzi di sviluppo del comparto pesca nelle zone interessate. La domanda interessante è alla fine se sia previsto un protocollo da seguire in casi simili.

Detto questo, cosa accade quando il fatto si verifica? Ebbene, le spigole vanno invariabilmente verso la battigia dove diventano una inaspettata cuccagna per i pescatori ricreativi. Negli stessi luoghi la cattura delle spigole richiede tempo, tecnica, fortuna, anche, se non soprattutto, perché lo stock selvatico è evidentemente in crisi e la pescosità è calata progressivamente, ma improvvisamente il mare si popola di un gran numero di pesci, tutti della stessa taglia, tutti poco sospettosi e affamati. Per varie settimane continuano a girare storie di carnieri favolosi, dalle "banali" venti spigole alle bauliere piene. E qui il re è davvero nudo. Non sono gli stessi pescatori del catch and release? Non sono gli stessi che si lamentano di chi preleva troppo? Gli stessi  convinti che con la canna sia impossibile fare danno? Saranno quelli che estenuati da aspettative disattese non riescono ad evitare di "vendicarsi"? Quelli che  “altrimenti li prende qualcun altro”? Sembra un terreno ideale per tante riflessioni e per cercare di non smettere di immaginare che la pesca ricreativa possa svilupparsi altrimenti.
Quello che accade è, banalmente, che tutti gli “stupidi” pesci di vasca sono assurti a trofeo, formano il carniere che rassicura l'ego del pescatore, prima di tutto nei confronti di sé stesso. Sembra che le briglie, ormai non più contestate, che limitano lo sforzo di pesca nelle acque interne, in mare siano un argomento che resta incomprensibile. Un pescatore medio in quella spiaggia va spesso in bianco, a volte fa catture non significative, sporadicamente prende pesci decorosi. Quando se ne prende uno dietro all'altro subentra una fascinazione, un comportamento atavico, come quando l'orso continua ad addentare salmoni anche se è sazio. Due, venti... quante? duecento? duemila? Come nel caso della pratica che è stata per vari anni popolare nella stessa zona, di continuare per mesi a salpare palangari con centinaia di pesci serra. Per farci cosa? Importa? Cene, regali, vendita, il risultato non cambia di molto perché generalmente la destinazione delle catture può arrivare a stimolare la pesca ma difficilmente ne cambia le modalità, indipendentemente dal tipo di illegalità collegata. Che sia per vendere, per riempire il congelatore o anche solo per esaltarsi, il comportamento è lo stesso e il risultato non cambia. Del resto le possibilità di smaltimento fruttuoso delle catture ricreative superano di gran lunga quelle di cattura, anche quando la pescosità è aumentata da un evento esterno. Forse la misura minima qualcuno la può considerare ma il carniere è un concetto evidentemente difficile prima di tutto perché lo stato delle nostre risorse costiere è arrivato ad un degrado tale da rendere difficile catturare quello che è consentito e quando capita, prende il sopravvento la psicologia.
E allora sarebbe anche interessante capire cosa dovrebbero pensare i pescatori commerciali se non che siamo fatti della stessa stoffa, quindi semplicemente dei concorrenti, salvo che loro pagano almeno le tasse.
La morale più evidente è che, per quanto possa suonare come un luogo comune, il fattore fondamentale di evoluzione di cui abbiamo assoluto bisogno è quello della cultura della pesca.  Un argomento estremamente complesso che, proprio perché tale, dovrebbe essere assunto e messo in evidenza nell'agenda di tutte le istituzioni competenti.
Se si arriva a sentir proporre di sostenere la pesca ricreativa marittima con immissioni di pesci di allevamento come in larghissimo uso nelle acque interne, sarà questo tipo di fenomeni ad averne incoraggiato l'idea? Potrebbe verosimilmente essere il risultato delle evasioni di spigole ad aver suggerito come il settore, e soprattutto il mercato ad esso collegato, possano essere ravvivati meglio, e soprattutto più in fretta, da quello che in acque interne è definito "pronto pesca", piuttosto che da una evoluzione della cultura della pesca e da una conseguente efficace gestione degli stock selvatici?

Ecco uno scenario puramente teorico per illustrare la radice del problema.
Davanti a una spiaggia si manifesta un banco di belle spigole (selvatiche) che predano a galla e si fanno vedere da tutti. Facciamo finta che il banco se ne stia lì a tempo indeterminato: cosa succede? Dipende solo da chi arriva per primo e dalla efficienza delle sue attrezzature, che è certo verranno usate al massimo delle loro capacità. Sia un pescatore commerciale che ne fa una sola retata o un passaparola che produce per un buon numero di pescatori ricreativi un carniere inusuale, nessuno avrà pace fino a che ci saranno pesci che si fanno catturare.
Un regolamento dovrebbe servire ad un prelievo misurato mentre la pratica è quella di prelevare tutto quello che è possibile prelevare. La contrapposizione ed il confronto è con i luoghi dove i pescatori ricreativi vanno a spendere soldi riuscendo a fare in pochi giorni di vacanza quello che a casa propria è solo un ricordo malamente surrogato dai pesci liberati dagli allevamenti. Posti dove i pesci ci sono ma dove il fatto che tutti i pescatori, sia ricreativi che commerciali, ne prelevino la quantità consentita dalle normative, soddisfa ampiamente sia il fine alimentare dei primi che quello economico dei secondi e ne fa restare in acqua molti altri. Dove a carniere raggiunto i pesci ricreativi vengono rilasciati, dove si smette pescare quando è tardi e non quando non ci sono più pesci, dove i pescatori ricreativi invece di essere contenti sarebbero preoccupati e disgustati per le evasioni di pesci dagli allevamenti.

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