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Domenica, 19 Marzo 2017 17:24

Sulla difesa del palangaro ricreativo

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Nel dibattito sulla regolamentazione della pesca ricreativa marittima, è tema ricorrente e più che mai di attualità, quello degli attrezzi passivi, nasse e soprattutto palangari.
In alcuni documenti  (nazionali ed europei) appare la proposta di vietare questi attrezzi alla pesca ricreativa e ciò genera reazioni di difesa in una nicchia di fruitori regolari.

I motivi della richiesta di divieto, provenienti da diversi portatori di interessi, non sono univoci anche se si basano sulle stesse argomentazioni tecniche. Quelli interni al settore ricreativo e sostenuti da sempre anche da APR, mirano a evitare contraddizioni per garantire consistenza alle posizioni e  favorire lo  sviluppo del settore. I portatori di interessi della pesca commerciale e alcune ONG ambientaliste identificano nel palangaro un attrezzo di utilizzo tipicamente di pesca professionale. La pesca  commerciale considera infine l’uso ricreativo dei palangari uno sconfinamento che favorisce la pesca illegale.

Le recenti disquisizioni, a firme a volte più a volte meno autorevoli, che ripercorrono la storia normativa  e che citano studi, possono essere sintetizzate nel riconoscimento di una serie di incertezze dovute alla carenza di dati e in un richiamo di tipo culturale per la difesa delle attività tradizionali. La tutela delle tradizioni è un argomento che fa presa, anche se il contesto dell’attività non è più quello tradizionale (il 93% degli stock del Mediterraneo esaminati è oggi sovrasfruttato), e che sembra voler introdurre nel dibattito sulla gestione delle risorse ittiche un elemento di folklore che tale in realtà non è dal momento che tutte le tecniche di pesca usano oggi mezzi molto migliori di quelli tradizionali e sfruttano risorse molto minori di quelle tradizionali.  

La tutela di una tradizione,  cui si richiama la maggior parte delle voci levate in difesa del palangaro ricreativo, non attenua il problema della coerenza regolamentare visto che la passività degli attrezzi suggerisce che, di norma, si salpino pesci già morti togliendo al pescatore ricreativo la possibilità di scelta del rilascio a livello di specie, di misure minime e di carniere.

Osserviamo con interesse che la difesa del palangaro ricreativo è rapidamente passata, a seguito della richiesta di un divieto totale,  dall’essere “senza se e senza ma”  ad arricchirsi della possibilità di modificare in senso restrittivo la regolamentazione della tecnica.

Se all'inizio degli anni '80 ci fu un balletto normativo che vide il numero degli ami scendere da 200 a 100 per poi tornare a 200, è confortante sentir oggi parlare di ami circle, di tempi di posa e, appunto, di numero di ami, e vi si può leggere una evoluzione di un ambito solitamente poco incline a fare critica della gestione della pesca ricreativa in atto.

L’improvvisa preoccupazione per la quantità di pescato rispetto al carniere consentito da parte di chi usa il palangaro, appare anch'essa dovuta alla minaccia di divieto perché l’attrezzo provvede “di per sè” a dare al pescatore ampia possibilità di superare il limite di carniere e perché, anche se non sempre la pesca è abbastanza produttiva, lo scopo di un palangaro con 200 ami si presume che sia quello di  effettuare un quantitativo di catture superiore al limite di 5 kg.

Il richiamo ad una estensione al palangaro della capacità di rilascio delle catture, deve vedersela con i tempi operativi degli attrezzi passivi e richiederebbe per questo, quanto meno, una attenta valutazione delle prescrizioni tecniche in relazione ai tassi di mortalità. Un argomento chiamato in causa che si risolve solo attraverso una ricerca scientifica mirata e specifica, attualmente non disponibile, in attesa della quale, in coerenza con gli indirizzi della politica comune della pesca (PCP), è consigliabile il prevalere di una logica di approccio precauzionale che è appunto alla base delle proposte di divieto. Resta inoltre scarsamente documentato come i pescatori che usano i palangari reagiscano alle catture fuori carniere, considerando il numero di ami utilizzati e soprattutto lo stato dei pesci salpati in relazione alla possibilità di un rilascio utile.

Il confronto che può essere fatto, da una parte con i palangari professionali per vantare la differente consistenza degli attrezzi, e dall'altra con le tecniche ricreative per rimarcare  l'efficacia del catch and release anche con il palangaro, è evidentemente una forzatura finalizzata a livellare contesti non assimilabili.

Con l’arrivo del divieto di rigetto e del conseguente obbligo di sbarco che riguarderà anche la pesca ricreativa per le specie soggette a misura minima, la gestione delle eccedenze di carniere ricreativo possibili con gli attrezzi passivi complicano ulteriormente il problema in una direzione che fino ad oggi nessuno ha provato ad affrontare in modo organico.

Certamente l’attrezzo usato per la pesca non fa differenza rispetto allo sforzo di pesca effettivamente effettuato ma allora perché non ammettere anche reti da posta o da circuizione ricreative?
Forse perchè abbiamo bisogno di riconsiderare la stessa identità della pesca ricreativa e  che venga riconosciuta  l'effettiva esistenza di un ambito intermedio – indefinito - tra quello della pesca professionale  e quello della pesca ricreativa , ambito  che alcuni documenti ufficiali della UE definiscono  di " semi sussistenza" anche se evidentemente non è limitato a finalità, per quanto parziali, di sussistenza, e al quale potrebbe essere ascritta la pesca non professionale con i palangari.

Per concludere, la mancata soluzione delle contraddizioni interne alla normativa rende consequenziale la proposta di soluzioni tecniche come l'esclusione degli attrezzi passivi da quelli consentiti per la pesca ricreativa. Una minaccia di fronte alla quale gli stessi pescatori che fino ad oggi si sono limitati alla difesa passiva ad oltranza dei loro spazi indicano la necessità di una maggiore restrittività per mitigare il problema. Una strada comunque tutta da percorrere, che resta per adesso ferma alla scelta tra il divieto – immediatamente applicabile - e una regolamentazione separata e aggiornata, ancora completamente da definire

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