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Sabato, 28 Novembre 2020 21:46

Se cade una stella il rumore è più forte?

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E’ recentissima la notizia di due pescatori multati dalla Guardia Costiera con un bottino di circa 48 kg di orate. Uno dei due viene descritto su l’articolo de La Nazione come pescatore livornese “molto noto nell’ambiente della pesca sportiva” e in un baleno il mondo social della pesca sportiva e ricreativa si è sbizzarrito nel rimbalzare la notizia, chi stigmatizzando il comportamento, chi considerandolo una ‘leggerezza’ intanto ‘i pescatori professionisti fanno di peggio’ (riassumiamo in questa frase alcuni commenti letti sui social).

Una notizia profondamente triste per diversi motivi e sotto diversi punti di vista.

Il primo motivo, e anche il più banale, è che chi sta sotto i riflettori non dovrebbe essere tanto disonesto da comportarsi come il peggiore dei bracconieri mentre promuove il lato sportivo della pesca

Si sa che i controlli sulla pesca sono molto scarsi e che esiste un fenomeno diffuso di bracconaggio in mare. Si sa inoltre che nelle comunità locali le cose si vengono a sapere, che spesso tutti sanno, eppure i bracconieri raramente vengono scoperti. A quanto pare per chi ha competenza, per chi sa dove come e quando, può diventare una tentazione e alla fine non sono pochi quelli che considerano inevitabile che il fenomeno esista in tante forme. Una infrazione da 48 kg di orate può anche far sentire meno colpevole chi occasionalmente, ovvero quando ci riesce, vende qualche pesce illegalmente, e se poi lo fa un personaggio pubblico osannato per anni al quale si deve riconoscere una bravura fuori dal comune, il senso di colpa svanisce del tutto alla faccia di chi i pesci li rilascia davvero, anche di misura, anche se ne prende pochi.
Poi c’è il “sistema” che può offrire un altro punto di vista. Ciascuno di noi è solo con le proprie responsabilità di fronte alla legge, ma quando il sistema è disfunzionale, esistono attenuanti? O meglio, esistono concorsi di colpa?

Non è sulla base di ‘sentito dire’ che si fanno i processi, certamente, ma sulla base del sentito dire si possono fare ‘paternali’ nell’intimità (sic!) o scelte politiche che possono suonare al destinatario come aut-aut.
Quando a parte i ‘si sente dire’ (ma non è che i pescatori siano come fantasmi che nessuno vede, anzi solitamente sono anche un po' egocentrici e celolunghisti tanto da vantarsi di pescate miracolose) un pescatore viene beccato a fare il bracconiere, averlo come testimonial dei propri prodotti, o come atleta della propria federazione, dovrebbe far pensare a come si fanno determinate scelte.
Non dovrebbe la lungimiranza essere qualità di commercianti e di formatori di giovani leve e promotori dei sani principi dello sport?
Ma qui si immagina un caso estremo, un vip beccato in flagranza, con le dita sporche di marmellata. Il problema nasce però più a monte. Va bene per chi promuove attività e commerci puntare sulla tecnica, sui risultati sportivi, sulle catture ma si deve considerare che passa sempre un qualche ulteriore messaggio, un senso che deriva da una scelta più o meno consapevole che questa possa essere. Chi di dovere, che certamente conosce ed indirizza il messaggio, può scegliere e solitamente sceglie di seguire il flusso di corrente, di conservare ed incitare bacini di utenza consolidati e finisce spesso per contribuire in modo per niente marginale al mantenimento di un terreno fertile per lo sviluppo di fenomeni aberranti. Solo la punta di un iceberg che è la cultura della pesca, quella rappresentata e mediata da associazioni, aziende e, appunto, mezzi di comunicazione, dove l’interfaccia è quella delle gesta dei VIP, dei trucchi e degli avanzamenti tecnici, dei prostaff, delle facce e dei sorrisi stampati. Si celebrano le gesta e si stigmatizzano le infrazioni ed entrambe le cose sembrano togliere ogni peso a quello che occorre alla pesca ricreativa in mare: che la pesca permetta facilmente di fare carniere e di rilasciare le catture. Per vendere attrezzi da pesca e raccogliere adesioni occorre che il novizio in spiaggia catturi qualche bella orata invece di fare cappotti e di cambiare sport e non che qualcuno dimostri (e poi in che modo in questo caso...) che riesce a farne 48 kg per volta. Per qualcuno la pesca ricreativa, si intende quella vera, continua a non essere misurabile in pesci all’ora o sulla bilancia.

La cosa veramente triste è che l’epilogo possiamo immaginarlo: il delinquente alla gogna (come è giusto che sia) e sottoposto a giustizia civile e sportiva, e chi fino a ieri lo portava agli onori della gloria sarà probabilmente tra i primi a prenderne le distanze, voltandogli le spalle. E se i pescatori non capiranno quanto disfunzionale sia tutto questo allora non sarà servito a niente. Sarà solo un incidente di percorso o un altro bracconiere come ce ne sono tanti. Perché non c’è “sport” senza etica. Perché non ci può essere “sport” senza rispetto delle regole.

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