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Martedì, 01 Gennaio 2019 12:42

Legge quadro 2019

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L'argomento di maggiore attualità per i pescatori ricreativi tra fine 2018 e inizio 2019 è la legge quadro per la pesca in acque interne.

Un tema che si è acceso con una proposta sostenuta dalla Fipsas  alla quale è seguita la reazione di molte altre associazioni di pescatori e che è stato infine arricchito dal pronunciamento delle Regioni .
Se il confronto tra le associazioni dei pescatori ricreativi era stato basato sul problema delle concessioni ovvero della spartizioni della torta delle deleghe gestionali , le Regioni hanno sollevato numerosi altri problemi che sembrano destinati a fare da base a nuove ipotesi normative.

Oltre a rilevare i problemi di attribuzione di competenze, e le contraddizioni di varie parti della proposta di legge, le stesse Regioni assumono una posizione di principio che riflette il clima del dibattito nel comparto pesca, che si occupa quasi esclusivamente di pesca commerciale marittima.
L’assunto di questa impostazione è un diritto di prelazione per la pesca commerciale a causa del fatto che si tratta di un lavoro mentre la pesca ricreativa si sottintende essere attività di svago.
Sembra indistruttibile il muro culturale del non accettare che la pesca ricreativa muove economia e posti di lavoro.
C’è uno stigma in base al quale non si vogliono rilevare i dati economici e sociali della pesca ricreativa, basti il fatto che per farlo occorrerebbe spendere del denaro, per quanto poco, che in questo modo verrebbe sottratto ai finanziamenti pubblici destinati alla sovvenzione della pesca commerciale.
A monte degli argomenti di tipo economico ci sarebbero da considerare in modo analitico i servizi forniti all’individuo ed al contesto sociale ma soprattutto sembra che si vogliano ignorare la natura pubblica delle risorse della pesca ed il conseguente diritto individuale ad avervi accesso sulla base naturale della predazione diretta a fini di autoconsumo.
E’ inaccettabile che le sedi istituzionali ignorino la necessità di analizzare il contesto prima di fare scelte preferendo barricarsi dietro a posizioni di principio.
Potrebbe esserci, come sicuramente c’è, un contesto nel quale la destinazione ricreativa di certe risorse porti alle comunità locali e alla fiscalità generale un maggiore utile rispetto a quello che verrebbe dalla attribuzione delle stesse risorse alla fruizione commerciale.
Allo stesso modo potrebbe esserci una operatività gestionale svolta meglio da una associazione di pescatori ricreativi che da una di pescatori commerciali.
Ebbene tutto questo è sottoposto all’assunto secondo il quale una norma di inquadramento dovrebbe essere scritta “seguendo il principio che occorra prima favorire i pescatori professionisti e gli acquacoltori, che dall'utilizzo delle acque interne traggono il proprio sostentamento”.
Dalle istituzioni ci si aspetterebbe che si capisse che non è serio ed è anche rozzo condizionare la gestione al luogo comune che i pescatori commerciali pescano per campare mentre quelli ricreativi lo fanno per divertirsi.
Nel caso della pesca i lavoratori che fanno economia con la pesca commerciale sono riconosciuti, riconoscibili ed organizzati mentre quelli che la fanno con la pesca ricreativa sono sparsi e frammentati ma non per questo meno importanti e non sono destinatari di nessuna sovvenzione pubblica come quelle che finanziano la pesca commerciale.
L’incipit del documento delle Regioni sembra un diversivo quando lamenta la mancanza di “criteri ispiratori nuovi e più moderni (anche in riferimento alle positive esperienze di altri Paesi)” visto quello che segue in tema di diritto di accesso alle risorse della pesca.
Le esperienza positive di altri paesi del resto ci dicono che la prima iniziativa di valorizzazione consiste nella restrizione o nel divieto di pesca commerciale.
I pescatori ricreativi si sono abituati ad un regime di monopolio a proprio favore nelle acque interne semplicemente per mancanza di interesse da parte dei pescatori commerciali e qui si dimostra come la percezione di un valore economico in un contesto di crisi del comparto spinga a sfruttare tutte le nicchie comprese ad esempio quella degli affidamenti gestionali o quella della fornitura di servizi. Certo in un regime equo non c’è motivo di pensare che possa esserci una prelazione neanche da parte dei pescatori ricreativi. Piuttosto un regime equo dovrebbe permettere di valutare in modo informato e non pregiudiziale varie opzioni.
L’attribuzione della gestione alle Regioni ha il principale vantaggio di poter adattare le misure tecniche agli specifici contesti sia per quanto riguarda gli ambienti che le tradizioni di pesca ma dovrebbe essere ristretta con una maggiore centralizzazione nella definizione delle modalità organizzative e dei principi in modo da permettere alle Regioni stesse di fare rete e di delegare funzioni gestionali sulla base di un quadro di riferimento nazionale. Parallelamente le organizzazioni dei pescatori ricreativi dovrebbero uscire dalle logiche spartitorie e dalla falsa sicurezza delle acque interne come loro riserva, per diventare un soggetto coeso e autorevole del comparto, un portatore di interessi che partecipa a quella che la burocrazia chiama “attività estrattiva” (prelevare pesci) e non che si interessa dell’argomento per motivi ideali o politici.

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