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Venerdì, 26 Ottobre 2018 19:15

Legge quadro per le acque interne

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 Da ormai troppo tempo i pescatori ricreativi chiedono una revisione delle normative per quanto riguarda sia la pesca in mare che quella in acque interne.
Negli anni si sono susseguite varie proposte di legge che non hanno avuto seguito e che del resto non avevano velleità di fornire strumenti efficaci per una reale evoluzione della gestione.
L'ultima proposta organica di legge quadro per le acque interne è cosa recente ed ancora in attesa di intraprendere l'iter previsto.

La proposta è sostenuta pienamente dalla Fipsas e del resto pone la stessa Federazione in una posizione privilegiata di rappresentanza del settore.
Le critiche che sono circolate tra i pescatori si riferiscono infatti principalmente a questo elemento mentre non si è visto altrettanto interesse per i contenuti qualificanti per una evoluzione della impostazione gestionale.
Per tirare una linea che colleghi i punti critici della proposta potremmo dire che fatti salvi alcuni inevitabili buoni principi vediamo riproposto un modello di approccio alla gestione sostanzialmente invariato.
Il modello sembra possa servire essenzialmente a difendere le pratiche abitualmente in uso, rilanciandole e potenziandole.
Di fronte ad una perdurante e progressiva crisi del settore è fisiologica una reazione di difesa per cercare di interrompere la tendenza negativa. Un'idea non del tutto sbagliata ma è purtroppo anche verosimile che molta parte della crisi dipenda proprio da questa impostazione.

La proposta di legge è lunga ed articolata e dovrà certamente essere sottoposta a vari momenti di confronto e di valutazione analitica. Nell'articolato alcuni argomenti risaltano come caratterizzanti dell'impostazione gestionale. Tra questi, ad esempio, i ripopolamenti, la classificazione delle acque, le concessioni.

Ripopolamenti. Siamo talmente abituati a questo termine che ormai tutti ne fraintendono il significato usandolo per indicare tutte le immissioni. Il ripopolamento è tale quando è una misura una tantum finalizzata a ricostituire una popolazione ittica in crisi in modo che torni ad auto mantenersi. Una pratica scomoda perché per attuarla bisogna programmare di regolare la pesca in modo da non vanificare il ripopolamento stesso e da non doverlo fare nuovamente perché allora non è più un vero ripopolamento ma solo una immissione per la pesca, non importa se si immettono avannotti o pesci adulti. La previsione delle attività di ripopolamento come centrali per la gestione è quindi discutibile perché si tratta di norma di immissioni che impostano la gestione sulla base dell'introdurre pesci per sostenere o migliorare la pescosità. Una pratica molto comune ed anche abusata, tanto da essere la causa della diffusione delle specie aliene in tutte le nostre acque interne. Se dal punto di vista ambientale il problema può essere molto mitigato con buone pratiche forse dovremmo anche chiederci se è davvero questo il modello di pesca che vogliamo continuare ad avere nelle nostre acque pubbliche.

Classificazione delle acque. Sembra abbastanza evidente che l'uso contemporaneo di più di un parametro e di parametri fuori scala rende difficile coprire adeguatamente tutti i contesti.
I parametri utilizzati sono: uno di qualità generica, definito “pregio”, che si capisce essere principalmente riferito all’attività di pesca, uno riguardante le specie ittiche prevalenti nella definizione di acque “ciprinicole”, uno relativo alla possibilità di pesca commerciale che identifica le acque definite “principali” ed infine un secondo parametro generico di qualità che individua le acque definite “alterate”.
In particolare il pregio è una categoria limitante che dovrebbe essere legata sia alle pratiche di pesca che allo stato dei luoghi e delle popolazioni ittiche ma anche ai rispettivi potenziali. Dove il pregio manca per determinate cause la gestione deve operare per recuperarlo. La previsione di immissioni di specie non autoctone nella acque considerate fortemente alterate rischia di dare un forte incentivo a classificare come tali molti corpi idrici visto che molta parte delle nostre acque interne del piano ha effettivamente popolazioni ittiche fortemente alterate a causa delle specie aliene invasive. In questo caso come più in generale in tema di immissioni la proposta sembra resistere alla necessità di passare ad una logica di tutela delle risorse naturali su base scientifica.

Concessioni.  Il meccanismo delle concessioni, opportunamente rinominate come "affidamento in gestione", ripropone uno schema solo parzialmente virtuoso. Se le pubbliche amministrazioni vogliono scaricare la gestione sulle associazioni dovrebbero farlo nella forma di una delega di funzioni tecniche prevedendo non solo di creare riserve ma di gestire in modo integrato anche le acque a libero accesso. Dove per decenni i proventi delle licenze di pesca hanno permesso una dispendiosissima politica di immissioni a perdere, adesso, in un regime di gestione degli stock selvatici, le stesse risorse permetterebbero ampiamente di sostenere i costi di gestione in un meccanismo di affidamento integrato alla gestione su scala di bacino.

Il testo è ricco di altre occasioni per lo sviluppo di un dibattito: quelle relative alla partecipazione associazionistica, il mancato riferimento agli strumenti tecnici della Carta Ittica e dei Piani Ittici, il concetto di "incremento" della fauna ittica e della pescosità, il persistente problema di classificazione normativa delle specie autoctone per tutti i bacini a livello nazionale.

Per tornare a quella che è stata sentita come maggiore pietra di scandalo della proposta, la prelazione della Federazione riscontrabile in tante parti del testo sembra indicare un approccio maldestro se non un timore legato ad una generale crisi di rappresentanza. Le stesse dimensioni e la diffusione territoriale della Federazione dovrebbero infatti bastare alla stessa Federazione a poter contare sulla propria forza di rappresentanza senza dover ricorrere alla citazione in chiaro nella norma di legge.

La proposta attende il suo iter e dovrà certamente vedersela con i pesi che graveranno sui politici che di norma non conoscono l'argomento, che non ne sono interessati, che non hanno intenzione di approfondirlo e che raramente sono costretti ad occuparsene.
Visto quanto è comune l'inquinamento della politica da parte di interessi particolari, sembra resti solo da sperare nel miracolo di avere qualche politico di peso davvero appassionato di pesca per poterne discutere in modo serio.

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