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Giovedì, 21 Febbraio 2013 12:16

“C’è bisogno di regole sotto i mari”

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Un articolo pubblicato sulla rivista Le Scienze – numero 534 – Febbraio 2013 chiama in causa la gestione della pesca del tonno rosso ed un paragrafo è espressamente dedicato alla pesca sportiva/ricreativa.

Riportiamo da “Il destino del tonno rosso in Italia” di Riccardo Cattaneo-Vietti (Professore ordinario di Ecologia, docente all’Università Politecnica delle Marche e all’Università di Genova), Marco Costantini (responsabile del Programma Mare di WWF Italia), Paolo Guidetti (Professore di Ecologia all’Università di Nizza-Sophia Antipolis)

Dal punto di vista della conservazione il tonno rosso è una specie sotto osservazione, e si teme addirittura per la sua stessa sopravvivenza. Tuttavia ne è permessa la cattura come forma di pesca ricreativa-sportiva. La cosa è sorprendente, secondo una logica prudenziale: se il tonno rosso è in sofferenza non dovrebbe esserne consentita la pesca per motivi ricreativi, al più accettarne catture accidentali. Inoltre, considerando la difficoltà di effettuare controlli a mare, sorge il dubbio che questo tipo di pesca determini di fatto una pesca illegale e un mercato nero che sfugge alla quantificazione delle catture basate sul sistema delle quote.

Esercitare la pesca sportiva è certamente un diritto, ma il Ministero delle politiche agricole deve valutare se, in casi specifici come quello del tonno rosso, sia compatibile con le esigenze di conservazione e ciò non possa creare una conflittualità con la realtà socio-economica della pesca professionale. Oggi l’Unione Europea raccomanda che ciascuno Stato Membro adotti opportuni provvedimenti volti a regolamentare la pesca sportiva, in particolare mediante autorizzazioni di pesca, vieti la commercializzazione del tonno rosso catturato nell’ambito di competizioni di pesca sportiva (salvo per beneficenza) e registri i dati di cattura trasmettendoli alla Commissione. Ciascuno Stato Membro, inoltre, deve adottare i necessari provvedimenti per garantire, per quanto possibile, il rilascio dei tonni rossi catturati vivi nell’ambito della pesca sportiva, in particolare degli individui giovanili, al di sotto dei 30 kg di peso.

Quest’ultima raccomandazione, ovvero l’introduzione di regole precise che impongano il catch and release (il rilascio immediato del pescato, tecnica d’altronde già adottata in molte competizioni), potrebbe permettere agli sportivi di continuare a pescare con grande soddisfazione per i tanti che praticano questa attività legalmente, rispettando regole e quote, senza vendere in nero, fenomeno per il quale sono in crescita le denunce penali per pescatori “non” professionisti, a dimostrazione di una aumentata sensibilità sociale”

Ringraziamo gli autori  per aver espresso parole positive nei confronti di una pratica quale il Catch&Release, e per aver riconosciuto che molti sono i pescatori ricreativi che praticano questa attività legalmente e nel rispetto di regole e quote, ma riteniamo necessario affrontare punto per punto alcune delle questioni  trattate superficialmente (sicuramente per esigenze editoriali) in questa parte a noi “dedicata”.

Risulta evidente nell’articolo il tentativo di subordinare il settore ricreativo  al settore di pesca commerciale quando, ad esempio,  il Regolamento del Consiglio sulla Raccolta Dati (CE 199/2008)  include espressamente la pesca ricreativa tra i settori della pesca senza ordine di priorità (Art. 2 – Definizioni)

(a)      ‘Settore della pesca’ , le attività legate alla pesca commerciale, alla pesca ricreativa, all’acquacoltura e all’industria di trasformazione dei prodotti della pesca;

e quando, ad esempio, l’organismo internazionale ICES ha ufficialmente istituito nel meeting  inaugurale del 7-11 maggio 2012 il Gruppo di Lavoro sulla Pesca Ricreativa in cui si evidenzia l’importanza della raccolta dati relativa al settore ricreativo al fine di valutare il valore sociale ed economico della pesca ricreativa in mare. E ancora recentemente  nel meeting del  Sottocomitato delle Scienze Economiche e Sociali (SCESS) della Commissione Generale Pesca del Mediterraneo (FAO-GFCM) svolto a Roma il 18-20 febbraio 2013 si è parlato dell’importanza della pesca ricreativa tanto da prevedere di organizzare un workshop ad essa dedicato e non continuare a trattarla nell’ambito dei lavori sulla pesca artigianale. O ancora la  pubblicazione nel 2012 delle Linee Guida Tecniche sulla Pesca Ricreativa (FAO)

Gli autori sembrano  dimenticare un pilastro fondamentale che sostiene la  pesca ricreativa e sportiva   contribuendo a conferirle un valore ben più profondo della semplice ‘ricreazione’ come si cerca di far emergere in questo articolo. Tale pilastro, da salvaguardare dal punto di vista sociale, è il diritto al consumo alimentare diretto nel rispetto dei regolamenti, un diritto naturale e dal valore ambientale, culturale e sociale in quanto permette all’uomo del terzo millennio di mantenere un contatto diretto (e non attraverso i media o il sentito dire)  con le risorse e di sperimentarne direttamente lo stato (spesso preoccupante) di conservazione.

Usando una cortesia raramente riservata alla pesca ricreativa preferiamo, quando possibile,  evitare la ‘caccia alle streghe’ nei confronti di un settore della pesca piuttosto che di un altro e allo stesso modo non intendiamo entrare nel merito della ‘contabilità spicciola delle quote’ , ma ci preme analizzare (ed eventualmente ribattere)  punto per punto alcune affermazioni:

 

  1. Tuttavia ne è permessa la cattura come forma di pesca ricreativa-sportiva. La cosa è sorprendente, secondo una logica prudenziale: se il tonno rosso è in sofferenza non dovrebbe esserne consentita la pesca per motivi ricreativi, al più accettarne catture accidentali. A voler applicare una logica prudenziale  la cosa che a noi sembra maggiormente sorprendente è che tipologie di pesca considerate di grosso impatto siano autorizzate  in pieno periodo riproduttivo (riportiamo dall’articolo nella parte dedicata all’identikit della preda “I grandi banchi costituiti da migliaia di individui della stessa taglia ed età entrano nel Mediterraneo per riprodursi tra maggio-agosto, quando la temperatura superficiale del mare supera i 22-23 gradi” ) e che la possibilità di pesca sia concentrata nelle mani di poche imbarcazioni una sola delle quali può catturare tanto quanto l’intero settore ricreativo, o  semplicemente catturare a discapito, ad esempio, della pesca artigianale che non ha accesso ad alcuna quota neppure di by-catch.
  2. Considerando la difficoltà di effettuare controlli a mare, sorge il dubbio che questo tipo di pesca [la pesca ricreativa ndr] determini di fatto una pesca illegale e un mercato nero che sfugge alla quantificazione delle catture basate sul sistema delle quote. La difficoltà di effettuare controlli a mare sta diventando un cavallo di battaglia troppo spesso cavalcato, l’incapacità o la mancanza di volontà di implementare una seria rete di controlli non può servire da scusa per addebitare l’illegalità alla pesca ricreativa.
  3. Esercitare la pesca sportiva è certamente un diritto, ma il Ministero delle politiche agricole deve valutare se, in casi specifici come quello del tonno rosso, sia compatibile con le esigenze di conservazione e ciò non possa creare una conflittualità con la realtà socio-economica della pesca professionale. Questa affermazione non può fare altro che renderci infuriati: i pescatori ricreativi hanno lo stesso diritto  di catturare pesci, nel rispetto dei limiti imposti dal regolamento,  come qualsiasi altro pescatore. La pesca ricreativa  non deve essere considerata un privilegio da concedere o limitare in relazione ad eventuali  conflitti con la pesca professionale. La risorsa ittica selvatica è un bene comune, lo ha affermato anche il Commissario EU Maria Damanaki nel suo discorso del marzo 2011ITQs would not be property, but user rights, because the resource remains a public good.”  Noi tutti “possediamo” le risorse ittiche e noi tutti dobbiamo adoperarci per preservarle. E’ nostra opinione che il concetto di “privilegio” sia da riservarsi  al tipo di pesca che “fa soldi” sfruttando le risorse ittiche per ricavarne profitto diretto.
  4. Quest’ultima raccomandazione, ovvero l’introduzione di regole precise che impongano il catch and release (il rilascio immediato del pescato, tecnica d’altronde già adottata in molte competizioni), potrebbe permettere agli sportivi di continuare a pescare con grande soddisfazione per i tanti che praticano questa attività legalmente, rispettando regole e quote, senza vendere in nero, fenomeno per il quale sono in crescita le denunce penali per pescatori “non” professionisti, a dimostrazione di una aumentata sensibilità sociale” Non possiamo che condividere il supporto alla pratica del catch&release, considerato non come approccio etico ma come strumento efficace di gestione. Occorre però  evidenziare che il  consumo alimentare diretto è un valore da difendere soprattutto in relazione agli slogan che certe frange ‘estremiste’ nel panorama  ambientalista  rivolgono contro ai pescatori che pescano, a loro dire,  per ‘divertimento’ , slogan che sembrano avere il solo scopo di annientare un settore a loro pressoché sconosciuto e con una scarsamente indagata valenza sociale ed economica. Ci fa sorridere invece la sottintesa uguaglianza “non professionista” = “pescatore ricreativo” al quale viene attribuito, per comodità, l’illegalità nella pesca, uguaglianza  priva di consistenza e spesso abusata.

Nell’insieme l’articolo è piacevole, interessante ed apprezzabile, degna di nota la lancia spezzata in favore della sostenibilità delle tonnare fisse, peccato che ancora una volta, quando si tratta di parlare di pesca ricreativa, ciò che emerge è la mancanza di conoscenza approfondita  e il punto di vista parziale del mondo scientifico italiano (letteratura scientifica italiana sulla pesca ricreativa pressoché inesistente) che, ancora una volta,  sembra non riuscire a svincolarsi dalla logica dello sfruttamento delle risorse  ai fini commerciali. Avremo infatti preferito sentir parlare di studi da implementare, di dati socio economici da raccogliere, di quote da destinare  in base alla resa economica e alla sostenibilità degli attrezzi nel rispetto dei regolamenti. E invece abbiamo assistito al solito e ormai consueto processo alla supposta illegalità ricreativa come se non fosse ovunque risaputo che,  quando si tratta di tonno rosso, l’illegalità è un fenomeno diffuso indipendentemente dal settore e riguarda probabilmente l'intera filiera, dal pescatore al consumatore finale. Questo dovrebbe essere da stimolo a ripensare i sistemi di gestione attualmente in atto che sono, probabilmente, incoerenti e invece, tristemente, ogni cosa si conclude con il solito mercanteggiare annuale di tonnellate nelle stanze di un Ministero.

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