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Venerdì, 06 Marzo 2020 08:22

Pescatori contro

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Non è affatto una novità che il settore della pesca ricreativa sia diviso. Spesso si è trattato di conflitti aperti e in ogni caso il settore ne ha ricavato soprattutto indebolimento e perdita di autorevolezza nel rapporto con gli altri portatori di interessi del comparto pesca.

Le divisioni sono comunemente dovute al sostegno di interessi di parte e coinvolgono le rappresentanze associative rispecchiando normalmente il sentire della base rappresentata. Quasi sempre il problema è quello di una visione parziale della realtà ovvero della mancanza di una parte della conoscenza necessaria ad affrontare gli argomenti che vengono discussi.
Se i rappresentanti dei pescatori possono avere una visione più ampia dei problemi, il loro principale obiettivo è la rappresentanza di una base di pescatori che tale visione non sempre ce l'ha. La base di pescatori è anche base del consenso che permette la rappresentanza e per questo si può verificare che i rappresentanti abbiano interesse a sostenere posizioni di parte basate su una conoscenza parziale dei contesti.
Se la cultura della pesca è arretrata le associazioni dovrebbero forse lavorare per farla progredire ma questo può essere sconveniente fino a provocare una perdita di consensi e di rappresentanza almeno sul breve periodo.

L'ultima occasione di scontro si sta verificando a seguito delle iniziative del MEDAC e del suo gruppo di lavoro sulla pesca ricreativa. In questa sede si sta infatti svolgendo un lavoro inserito nella più generale attenzione che le istituzioni rivolgono alla pesca ricreativa. In particolare i contrasti sono sollevati da argomenti ormai da tempo fonte di dissidio interno al settore. In altra sede la sensibilità del settore ricreativo è messa a dura prova per quanto riguarda la regolamentazione della pesca in acque interne. Nel caso del MEDAC una rappresentanza di settore va in fibrillazione per il rischio di non mantenere le cose come stanno mentre in quello delle acque interne ci va per il motivo diametralmente opposto. In entrambi i casi molti pescatori sono pronti a sbandierare idee che si basano su principi solidi ma che hanno il difetto di restare superficiali e di non far parte di una strategia praticabile.

I maggiori motivi di dissidio possono essere individuati in tre problemi: attrezzi passivi per la pesca ricreativa in mare, misure minime e pesca professionale in acque interne. In tutti i tre casi il riferimento resta quello del confronto con la pesca commerciale sul quale comprensibilmente tutti i pescatori concordano in linea di principio. Il principio però non basta perché occorre scendere ad un livello maggiormente analitico per non cadere in contraddizioni controproducenti e per sperare in una effettiva praticabilità delle proposte di intervento.

Per approfondire i tre temi non bastano formule sbrigative ma possiamo provare a fare sintesi per inquadrare il problema:

Attrezzi passivi per la pesca ricreativa in mare: il pericolo di un divieto assoluto diventa sempre più reale e va detto che ci sono dei motivi solidi per sostenerlo; chi pesca con il palangaro vede nel divieto, principalmente un tentativo di ingerenza della pesca commerciale che adduce la giustificazione non esattamente campata in aria che l'uso di lenze con 200 ami facilitano la vita alla pesca illegale; se è innegabile che gli attrezzi passivi non permettono il rispetto dei limiti di carniere e delle misure minime, una fronda di pescatori ne sottolinea l'aspetto tradizionale e storico puntando i piedi contro la pesca commerciale e contro chi tra i pescatori ricreativi non la pensa come loro, magari dopo aver visto e rivisto barche riempite di pesci fino all'orlo; certo spesso questo non accade ma va ammesso che non accade semplicemente perché ci sono pochi pesci, ovvero nel caso ce ne fossero le barche verrebbero riempite fino all'orlo tutte le volte. La cosa che lascia interdetti è che l'argomento viene discusso da tempo ma che nel frattempo tutte le ipotesi alternative tra lo stato attuale e il divieto sembrano essere state accantonate rendendo sempre meno sostenibili le tesi di non intervento sul regolamento; cose come una possibile gestione separata, una licenza specifica, la marcatura degli attrezzi, la registrazione delle catture, i carnieri di lungo periodo e soprattutto il numero di ami sembravano poter dare una prospettiva di mediazione invece l'unico argomento sembra essere diventato quello della resistenza contro qualsiasi evoluzione e soprattutto contro alla pesca commerciale che ha molto potere, tanto che per sperare di fare qualcosa sarebbe meglio concordare misure di mitigazione dei conflitti invece del contrario. Il conflitto interno al settore su questo tema certo non può indicare nessun tipo di ingerenza della pesca commerciale perché una gran parte dei pescatori ricreativi in mare contestano fermamente l'uso degli attrezzi passivi per la pesca ricreativa.

Misure minime:   tutti o quasi siamo d'accordo che le attuali misure minime sono assolutamente inadeguate e insufficienti; vorremmo che ci fosse una misura minima per pesci come la ricciola e il dentice e ne vorremmo una decorosa per la spigola e per quasi tutte le altre specie costiere; vorremmo che ci fossero misure minime rispettate da tutti, ricreativi e professionisti; se si parla di misure per la pesca ricreativa è logico dire che dovrebbero valere anche per professionisti ma non è altrettanto sensato dire che se le due cose non vanno di pari passo allora non se ne deve fare di niente; certo che il problema dei professionisti deve essere affrontato ma se crediamo che le misure devono cambiare non ci si dovrebbe sottrarre; qualcuno pensa davvero che sia accettabile prelevare cinque kg di spigole di 25 centimetri perché i pescatori professionisti hanno la stessa misura minima? Forse dandoci una misura decisamente maggiore sostenuta da dati scientifici oltre a avere nel regolamento una misura di tutela fondamentale per i nostri interessi di pesca, avremmo anche una diversa credibilità per avanzare richieste che riguardano tutti i settori della pesca.

Pesca professionale in acque interne:  un vero scandalo in generale anche se occorre distinguere tra vari contesti, ad esempio i grandi laghi, i reticoli idrografici di pianura e le acque salmastre; considerando queste ultime, dal nostro punto di vista se non ci fossero reti e lavorieri nelle nostre lagune e nei canali salmastri potremmo avere un grande giovamento in termini di pescosità per alcune specie di primaria importanza sia nelle stesse acque salmastre che nelle acque marine limitrofe; quello che manca è però che non è ragionevole chiedere una chiusura improvvisa di una attività che interessa molte centinaia di aziende di medie e piccole dimensioni; casomai dovrebbe esserci un percorso che porti dalla valutazione scientifica delle popolazioni ittiche di riferimento a quella delle attività economiche collegate, a quella dei diversi usi delle risorse e della loro convenienza per poi attuare strategie progressive di adattamento a quanto si è riscontrato; se crediamo nei valori che ci portano a pensare che la pesca commerciale in acque interne sia da ridurre o eliminare dovremmo fidare nel fatto che un approccio serio al problema non potrà che darci conferme e fare da base per un cambiamento.

Quello che accade è che il settore resta inattivo dove dovrebbe lavorare alacremente per elaborare strategie unitarie e condivise per poi trovarsi di fronte ad incombenze che attivano improvvisamente il confronto conflittuale tra diverse posizioni e lo fanno al cospetto delle Istituzioni e degli altri portatori di interessi, in primo luogo dei pescatori commerciali, che perciò probabilmente si stanno sfregando le mani.

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